Il figlicidio.

  • di

Comprendere una madre che uccide è sicuramente molto difficile e il movimento che porta verso di lei assai
laborioso […] Nella situazione di infanticidio, il bambino muore per non essere esistito nella testa di sua
madre, per non essere stato aspettato (Marinopoulos, 2005, 33-35)
In criminologia viene operata una specifica suddivisione tra:
• neonaticidio, che ricorre nell’immediatezza del parto (entro 24 ore). Lo commettono madri che hanno
negato la gravidanza e che negano anche il frutto della stessa, ossia il figlio, che viene eliminato subito dopo
la nascita, come cosa sgradita, estranea, in quanto non elaborata mentalmente ed affettivamente nel corso
della gestazione;
• infanticidio, ossia l’uccisione del bambino entro l’anno di età. E’ commesso da madri che sentono il figlio
come un prolungamento di sé e dunque ritengono di poter disporre della sua
vita;
• figlicidio, ossia l’uccisione del figlio dal compimento dell’anno in poi. Il figlicidio si verifica
in condizioni di tempo differenti e con diversa motivazione rispetto al neonaticidio. Si caratterizza come un
evento assai più raro dei precedenti, frutto spesso di relazioni intrafamiliari distorte, che includono non solo
la coppia diadica madre-bambino, ma anche la figura paterna. Infatti anche i padri (quasi del tutto assenti tra
gli autori di neonaticidio ed infanticidio) possono perpetrarlo, e lo fanno con una certa frequenza.
La più frequente motivazione che porta a commettere un neonaticidio è quella di impedire l’inizio della vita
ed è psicologicamente paragonabile ad un aborto tardivo verificandosi prima che il legame affettivo,
derivante dalla convivenza con il figlio, si sia instaurato. Spesso la madre ha sentimenti di estraneità o di
ostilità nei confronti del neonato, che viene visto dalla legge stessa come “oggetto” o come un
prolungamento del proprio corpo che necessita di tempo per essere investito dall’ ”istinto materno”.
Differente dal punto di vista psicologico è il figlicidio, dove l’omicidio (art. 575 c.p.) avviene dopo che si sia
instaurato e consolidato un legame emotivo, caratterizzato da sentimenti, convivenza e anche contrasti, che
caratterizzano il legame madre-bambino.
L’uccisione da parte di una madre del proprio bambino è sicuramente considerato come uno dei delitti di
sangue che maggiormente suscita orrore ed incredulità nell’opinione pubblica.
Ma il figlicidio esiste da sempre. Ad oggi però il largo uso di mass media porta ad una divulgazione
dell’evento tale da creare attorno ad esso un alone di mistero. In una società quale la odierna, sempre più
orientata alla difesa della vita e protesa alla tutela dei diritti dei minori, il comportamento di una madre
figlicida non può che generare sgomento e risultare per tutti ripugnante.
Quali possono essere le motivazioni che spingono una madre ad uccidere il proprio figlio? Perché, essendo
“mamme cattive” non riescono a contenere la loro malvagità all’interno di una situazione già presente di
assenza di cure adeguate, di maltrattamento e di abuso, ma scelgono di porre fine all’esistenza della propria
creatura?
Le motivazioni sono molteplici. Il figlicidio delle madri ha in genere uno scenario culturale-sociale, uno
psicodinamico e/o psicopatologico personale e alcune condizioni generali di fondo in cui in genere avviene il
delitto. Per quel che riguarda il mondo psicologico, psicopatologico e quello delle motivazioni personali al
figlicidio, va ricordato intanto che solo una parte delle madri che lo commettono soffrono di una grave
malattia psichiatrica (un terzo), vale a dire di psicosi o di gravi patologie che ne infinciano la capacità di
intendere e di volere; i restanti due terzi presentano dei disturbi di personalità (antisociale, borderline,
dipendente) che non permettono loro di riuscire a gestire le situazioni di vita più difficili (lutti, separazioni,
stress… ), di scompensi psichici (depressione post-partum) e di alterazioni comportamentali legate
all’assunzione di sostanze. La presenza di queste patologie, ovviamente, ha un’importante implicazione dal
punto di vista giuridico, perché incide sulla scelta di una reclusione in un istituto penitenziario oppure in un
ospedale psichiatrico giudiziario.
Nella maggior parte dei casi si tratta comunque di madri che vivono in contesti particolarmente problematici
e/o deprivati o che presentano importanti disturbi del controllo degli impulsi o disturbi della personalità di
vario tipo, particolarmente antisociale. Oppure madri che all’interno di una organizzazione personologica e
psicoaffettiva fragile e poco differenziata, manifestano una particolare difficoltà nell’assunzione di una
funzione materna, sentita come una dimensione difficile, spaventosamente inglobante o che solleva radicali
questioni di inadeguatezza (si tratta di omicidi commessi indirettamente per via di un comportamento
negligente oppure omissivo).
Altre volte invece si tratta di madri abusanti, violente e maltrattanti, che spesso ripetono nei comportamenti
di abuso e maltrattamento una storia personale di abusi e maltrattamenti a loro volta subiti. In questa
tipologia di figlicidio sono molto presenti le storie di comportamenti devianti e di abusi di droga. Vi sono poi
veri casi in cui l’aspetto della vendicatività violenta e del desiderio di
colpire il coniuge attraverso i suoi figli sconfina nell’impulsività criminale o, all’opposto, gli omicidi
autenticamente caritatevoli delle madri che pongono fine alla sofferenza di un figlio malato. Nelle patologie
psicotiche franche, come si è detto meno frequenti, l’omicidio del figlio può avvenire nel contesto di
un’elaborazione delirante, in cui il figlio diventa il ricettacolo proiettivo di esperienze persecutorie interne,
sia che si tratti di condizioni schizofreniche o di deliri persecutori non schizofrenici.
Nelle condizioni di grave depressione il figlio può essere inglobato in una tematica melanconica o
persecutorio-melanconica e ucciso nell’ambito di un “suicidio allargato” animato da istanze paradossalmente
protettive presenti, assieme alla fantasia narcisistica e onnipotente di una riunificazione “in un mondo
migliore” che sfugga al male.
In ogni caso, anche in assenza di specifiche psicopatologie, acute o croniche, di gravi disturbi di personalità,
di storie di abuso o di comportamenti tossicomanici, al centro dello scenario figlicida ci sono alcune
condizioni di fondo, dove la principale è sicuramente un deficit della funzione materna. Questo deficit può
assumere, nei casi più gravi la forma di quella che è stata chiamata una “maternalità delirante” o una
“preoccupazione materna primaria delirante”, che va a sostituirsi a quella “preoccupazione materna buona”,
che è invece la condizione e l’esperienza su cui si fonda un’identità personale salda e una possibilità di
assumere un’identità materna positiva.
Ma anche nei casi meno gravi dal punto di vista psicopatologico, o nei quali una psicopatologia in senso
stretto è assente, alla base dell’agito figlicida è presente almeno un sentimento inadeguato o
insopportabilmente conflittuale della maternità, che costituisce un terreno di vulnerabilità che varie
esperienze stressanti o condizioni problematiche (personali, ambientali, coniugali ecc.) possono aggravare.
Le motivazioni che spingono una madre al figlicidio sono molteplici e complesse e vengono agite secondo
diverse modalità:

  • L’atto impulsivo delle madri che sono solite maltrattare i figli. All’interno di questo gruppo rientrano
    quelle madri che sono solite usare la violenza fisica nei confronti dei propri figli. Queste madri, di fronte a
    una stimolo anche banale, ad esempio quando il proprio bambino urla o piange in modo prolungato, possono
    reagire in maniera impulsiva e fortemente aggressiva arrivando a percuotere il figlio con un oggetto
    contundente, soffocarlo, accoltellarlo, defenestrarlo, ecc. Spesso queste madri presentano disturbi di
    personalità, scarsa intelligenza, aspetti depressivi, facilità ad agire impulsivamente, irritabilità di base. Inoltre
    vivono in situazione familiari problematiche (condizioni economiche indigenti, elevata numerosità della
    prole, difficoltà legate al lavoro e all’alloggio, situazioni di separazione dal proprio compagno) e, a loro
    volta, spesso provengono da famiglie multiproblematiche dove sono state vittime loro stesse di
    maltrattamenti.
  • La vendetta della madre nei confronti del compagno. In questi casi, la madre può uccidere il figlio per
    vendicarsi dei torti reali, o presunti, subiti dal marito, cercando così di arrecare un dispiacere al proprio
    compagno. Il proprio figlio viene visto come un oggetto inanimato, che può essere dunque utilizzato come
    un’arma vendicativa. Questo tipo di figlicidio viene spesso definito come “Sindrome di Medea” (Medea è la
    protagonista della nota tragedia di Euripide, che uccide i figli avuti da Giasone fuori dal matrimonio quando
    lui sta per sposare Glauce e vuole sottrarglieli. Il giudice Creonte le concede di vederli per l’ultima volta e lei
    li uccide. Lapidario il dialogo tra i due quando Giasone le chiede: “E così allora li hai uccisi?” E Medea
    risponde: “Sì, per farti soffrire”. Sotto il profilo psicoanalitico, l’interpretazione di tale gesto ha a che fare sia
    col desiderio di interrompere la discendenza di Giasone sia con quello onnipotente di possesso totale dei
    figli, estromettendo il padre).
    Queste madri vendicative sono caratterizzate, in genere, da disturbi di personalità con aspetti aggressivi,
    comportamenti impulsivi, tendenze suicidarie, frequenti ricoveri in ospedale psichiatrico, relazioni
    sentimentali ostili e caotiche.
  • Le madri che uccidono i figli non desiderati. A questo gruppo appartengono quelle madri che uccidono
    in piena lucidità mentale il loro figlio perché non desiderato. Sono donne che non hanno desiderato la
    gravidanza e che collegano la nascita del figlio a qualche evento per loro traumatico come l’abbandono da
    parte del partner, la violenza sessuale subita, i gravi problemi economici e simili. Non è infrequente
    riscontrare in loro dei tratti di personalità antisociale e comportamenti impulsivi, con una storia personale
    di devianza e di abuso di sostanze.
  • Le madri che uccidono i figli trasformati in capri espiatori di tutte le loro frustrazioni. Queste donne
    percepiscono il proprio figlio come la causa unica e drammatica della rovina della loro esistenza. Il
    bambino può essere visto come causa di frustrazione in vari modi: per avere deformato il loro corpo
    attraverso la gravidanza, perchè le obbliga a vivere in un ambiente che loro non sopportano, perché le
    costringe a stare con un uomo che non amano, perché devono passare tutta la loro giornata a badare alle
    sue esigenze e ai suoi capricci. Può trattarsi di madri insicure, con tratti borderline di personalità, cioè
    madri conflittuali che presentano anche tratti impulsivi e aggressivi. Alcune di queste madri possono
    soffrire di malattie mentali con elementi persecutori, deliranti, paranoidei, per cui percepiscono il loro
    bambino come un vero e proprio persecutore. Può trattarsi di forme deliranti che possono essere presenti
    in madri con diagnosi di schizofrenia e di depressione maggiore.
  • Le madri che negano la gravidanza e fecalizzano il neonato. Si tratta di madri, per lo più molto giovani
    e abbandonate dal partner, che uccidono o lasciano morire il neonato nell’immediatezza del parto. Queste
    madri hanno spesso una forte dipendenza dai legami familiari e presentano tratti regressivi, infantili e
    narcisistici. Spesso negano, in modo isterico, la propria gravidanza, comportandosi come se non fossero
    incinte Dopo aver partorito da sole in condizioni clandestine, spesso gettano il neonato nei luoghi ove è
    raccolta la spazzatura, come se si trattasse di un prodotto fecale, cioè privo di vita, di umanità; altre invece
    lo abbandonano in luoghi pubblici con la speranza che venga notato da qualcuno.
  • Le madri che ripetono sul loro figlio le violenze che avevano subito dalla propria madre. Le madri
    che uccidono il proprio figlio hanno spesso avuto una madre che le minacciava di abbandono, non
    rispettava la loro individualità, le utilizzava come oggetti, le ha rese vittime di abusi psicologici, violenza,
    promiscuità sessuale e trascuratezza. Il fatto di avere avuto una “madre cattiva” non consente a queste
    donne di avere una buona identità materna e pur desiderando, a livello conscio, di essere delle buone
    madri ripeteranno gli stessi errori che ha compiuto, in passato, la loro madre. In questi casi il meccanismo
    psicodinamico sotteso è quello dell’identificazione con l’aggressore, che le porterà quindi a ripetere sui
    propri figli gli stessi errori delle loro madri, fino alle estreme conseguenze dell’omicidio.
  • Le madri che spostano il desiderio di uccidere la loro “madre cattiva” ed uccidono il figlio cattivo.
    La differenza del precedente gruppo, i sentimenti di odio che la madre figlicida prova nei confronti della
    propria “madre cattiva” possono essere introiettati, per cui la madre figlicida può diventare depressa,
    manifestare tendenze autodistruttive ed inglobare in questo desiderio di morte il figlio divenuto a sua volta
    “cattivo”. Innanzitutto, alla base c’è il desiderio della madre figlicida di uccidere la propria “madre
    cattiva” e solo secondariamente di spostare la propria aggressività omicidaria verso il figlio, che spesso
    non è vissuto come è nella realtà, ma come le reazioni emotive della madre e i suoi meccanismi
    psicologici di difesa lo fanno apparire.
  • Le madri che desiderano uccidersi e uccidono il figlio. A questo gruppo appartengono madri che vivono
    in una situazione depressiva grave, senza speranza, senza possibilità di ricevere aiuto e si convincono che
    l’unica salvezza per loro e per il proprio bambino sia la morte. Si tratta di madri che si muovono in un
    progetto di “suicidio allargato” spesso nell’ambito di patologie di tipo depressivo e paranoideo.
  • Le madri che uccidono il figlio perché pensano di salvarlo. In questo caso ci si trova davanti ad un
    contesto mentale di tipo paranoideo persecutorio, per cui le madri ritengono che l’unico modo per sfuggire
    a un mondo crudele che le perseguita sia la propria morte e quella del figlio. Queste madri possono essere
    anche convinte di sentire voci, che in realtà non esistono, che chiedono in modo minaccioso la morte del
    figlio come unica possibilità di salvezza. Può trattarsi in questi casi di un figlicidio di tipo altruistico, in
    cui la morte viene vista come l’unico modo per salvare il proprio figlio da un mondo minaccioso e senza
    scrupoli.
  • Le madri che uccidono il figlio per non farlo soffrire. Le madri appartenenti a questo gruppo uccidono
    il proprio figlio per non farlo più soffrire a causa di malattie reali, come nel caso di una grave malattia
    organica caratterizzata da forti dolori e da una gravissima riduzione della qualità della vita. E’ necessario
    distinguere questi omicidi compassionevoli, in cui viene privilegiato esclusivamente l’interesse del figlio
    malato, da quelli pseudo-compassionevoli, in cui la madre uccide il proprio figlio malato per liberarsi da
    questo “pesante fardello”. Altri esempi di omicidi pseudo-compassionevoli sono quelli in cui le madri
    sono convinte che il proprio bambino soffra di malformazioni o malattie, in realtà inesistenti, e che
    arrivano ad ucciderlo nella convinzione di salvarlo da sofferenze future. Anche dietro a questi gesti,
    possono celarsi altre motivazioni.
  • Le madri che danno cure affettuose al proprio bambino ma in realtà lo stanno subdolamente
    uccidendo. Il termine “Sindrome di Munchausen per procura” indica quella condizione per cui la madre
    provoca nel figlio delle lesioni che simulano delle malattie al fine di ottenere, in modo particolare,
    l’attenzione del medico. E’ molto difficile individuare le donne affette da questa sindrome, perché
    appaiono estremamente premurose nei confronti dei propri figli, soprattutto per quel che riguarda la salute,
    portandoli continuamente ed ossessivamente dal medico per farli curare. Nei casi in cui questa sindrome
    non venga riconosciuta in tempo, i figli di queste madri possono andare incontro alla morte a causa delle
    gravi lesioni provocategli.
  • E’ bene distinguere le madri affette da Sindrome di Munchausen per procura dalle madri “ricercatrici di
    aiuto” (help seekers), cioè quelle madri che continuano a richiedere esami medici per i propri figli a causa
    di disturbi che loro stesse hanno indotto. Queste ultime si differenziano dalle prime perché la ricerca delle
    cure mediche è più saltuaria, la patologia indotta è meno grave ed è motivata da un preciso bisogno della
    madre che necessita di un sostegno da parte di figure specializzate nell’allevamento del bambino. Per
    queste madri l’offerta di un sostegno concreto nell’allevamento del bambino può costituire un intervento
    risolutivo. Un’altra diagnosi differenziale della Sindrome di Munchausen per procura può essere fatta con
    quelle madri che continuano a richiedere visite mediche per il proprio figlio, il quale ha realmente sofferto
    in passato di una grave malattia ma dalla quale è ormai guarito (doctor shopping per procura). Inoltre,
    vanno differenziate quelle madri che usano una “terapia farmacologica allargata”, ossia coloro che
    somministrano in modo del tutto inadeguato ai propri figli dei farmaci che in realtà sono prescritti per loro
    stesse, a volte provocandone la morte.